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Fare il commerciale in periodo di crisi…

Ultimamente, come ho già scritto, ho ridotto il mio effort tecnico/tecnologico in azienda per spostarmi sempre di più sull’ambito manageriale ed, incidentalmente, commerciale. Come molti di voi sapranno la mia estrazione non è, propriamente, da agente di commercio e quindi in un modo o nell’altro ho studiato, cercato di capire il mercato e come porsi ad esso in maniera convincente o, almeno, più consona alla mia indole.

Mi sono fatto un’idea di com’è e di come vorrei che fosse, idea che per il momento non condividerò ma che cercherò di spiegare durante un talk all’AgileDay ed approfondire successivamente qui.

Prima di tale data mi piacerebbe però raccogliere qualche parere in più. Quindi vorrei sapere cos’è per voi un commerciale (dal generico a quello per una azienda che vive di web) e quale dovrebbe essere il suo tratto saliente (o quali dovrebbero essere se ne avesse più d’uno) e perché. Insomma per voi un buon commerciale dovrebbe avere compentenze tecniche? O essere un grande affabulatore? O limitarsi a vendere il più possibile?

Ciuaz

14 replies on “Fare il commerciale in periodo di crisi…”

Come sai ho sempre pensato che ci vuole un mix dei tre, ma con prevalenza della conoscenza del prodotto. Mi spiego: se non conosci il prodotto, bene e assolutamente fino in fondo, puoi essere pure il pifferaio magico, ma sul medio termine sei finito. Se sei un caccia balle, o incompetente che per me è lo stesso, tu e il tuo prodotto non potrete mai sperare di andare piu in la di qualche vendita.

Poi devi anche saperlo spiegare il prodotto. E infine devi avere una pazienza infinita: i clienti sono difficili, non a conoscenza spesso del mercato/prodotto/, poco concreti, quando non sono poco corretti.

Chi vende deve essere sempre pronto a ricominciare, scommettere e lavorare duro, duro, duro. Non è un mestiere per deboli.

Ciao, io ho fatto il tuo stesso passaggio circa un paio di anni fa e ti dirò che sembra peggio di quello che alla fine è.
Nel mio caso sono passato da installatore di centrali telefoniche e reti dati per uffici di ogni grandezza a commerciale e assistente pre vendita.

Quello che ho imparato è che il cliente non vuole stare a sentire tante storie e soprattutto non vuole essere contattato mille volte alla settimana. Vuole i suoi tempi e se ha bisogno di 2 mesi per decidere bisogna lasciarlo in pace, sarà lui a cercarci. Quando ci chiama o ci manda una email però bisogna essere il più veloci possibili nel rispondere e se non si hanno le informazioni corrette basta dirlo e ricontattarlo nel momento in cui si ha tutto in mano.

Alla base c’è la qualità del prodotto ma se si lavora su clienti piccoli o medi il prezzo ha un valore molto alto nella trattativa.

In fine ci sono i dettagli del rapporto personale che però è difficile riassumere qui come il modo di proporsi, il modo di parlare, di vestire, mai essere presuntuosi o altezzosi, mai dire un no secco e mille altre sfaccettature del caso.

Buona fortuna per la tua nuova esperienza, come tanti piccoli imprenditori questo è il primo passo per espandere la propria attività e la propria crescita professionale.

Ciao

Mi trovo anche io nella condizione di sdoppiarmi tra tecnico e commerciale (nel mio piccolo) e ti dirò che preferisco di gran lunga il lato tecnico… come dice Roberto i clienti sono sempre più difficili, diffidenti e nel 90% dei casi “ignoranti” del settore… e per un tecnico non è semplice farsi capire, sopratutto perchè noi diamo molte piccolezze per scontate.
Quindi direi tra le tre tutte, mixate per calcolare i rischi, limiti e la fattbilità del lavoro da svolgere…

Tra le tre caratteristiche da te citate, trovo una sovrapposizione sulle ultime due. Una caratteristica importante per un buon commerciale (ma quasi sempre sottovalutata) è secondo me l’empatia. Molto dipende dal target e dal contesto di riferimento; ma e secondo me fondamentale immedesimarsi nel proprio interlocutore e cercare di capire i suoi effettivi problemi (a livello strategico, prima che tecnico). Inutile descrivere alla perfezione un prodotto o dipingere funzionalità non richieste; l’interlocutore non sarà comunque in grado – o predisposto – per apprezzarle. Per questo, ritengo che la conoscenza del prodotto è secondo me una “feature” molto sopravvalutata. Non che non sia importante. Anzi, è sicuramente un prerequisito necessario. Perchè se non si conosce neppure ciò che si vende… beh… siamo alla frutta. Ma secondo me non è sufficiente.

La cosa più importante secondo me (…e prendo spunto da qualche principio dello UCD, per certi versi ;-) è far emergere i dettagli rilevanti (per il prospect). E ciò nel SUO contesto. Es. per un sito di commercio elettronico, inutile giustificare un costo da 24.000€ descrivendo le figate più immonde del sistema, dal punto di vista tecnico. Più effettivo – ritengo – dire che il costo del sistema è paragonabile allo stipendio annuale per un dipendente; ma che il sistema non si ammala, lavora anche di notte e può servire più di un cliente contemporaneamente. Forse crudo come ragionamento. Ma non distante dalla realtà. E dal punto di vista di molti interlocutori, in ambito commerciale.

Così, my 2 cents. Pur essendo (ben) lontano dall’essere un commerciale. ;-)

Io credo, Fullo, che un commerciale nell’era moderna e in questo momento di crisi debba in primo luogo essere cosciente che la vacca non si può più mungere se non la si porta al pascolo. Traducendo la pessima metafora, credo che ciò che la crisi sta mettendo allo scoperto è che fare i conti coi crudi numeri, ma senza la qualità effettiva, senza sostanza, non porti a nulla.

Vorrei vedere il mondo pieno di commerciali che capiscono che è inutile “svendersi” o vendere “a prescindere” o “a chiunque” per raggiungere obiettivi o per aumentare un fatturato che poi alla fine non paga. Non paga le spese, non paga in virtù, non paga i dipendenti ma soprattutto non paga la società che si trova con un cliente in più spolpato senza reale ritorno d’investimento e quindi con una risorsa in meno nell’ecosistema economico.

Spesso ci si vende come “partner”, non come fornitori. Mai come ora credo che questo sia vero e che debba iniziare DURANTE la fase di vendita. Anche capire che un cliente vuole una cosa che non gli serve, e dissuaderlo, è un lavoro che un buon commerciale deve imparare. Aumenta la stima, aumenta la serietà, aumenta soprattutto la consapevolezza della gente.

Alla fine se per vendere devi fare il cliente povero e ignorante, non hai ottenuto niente, io credo.

Ciao

Ciao,
purtroppo le mie esperienze coi commerciali sono state quasi sempre pessime per via della loro totale mancanza di competenza tecnica. Se non conosci bene il tuo prodotto (ma bene nel senso di capirne tutti gli aspetti, le applicazioni, le potenzialitá) allora non saprai mai intavolare un discorso sensato con un potenziale cliente che lo invogli a sceglierti rispetto alla concorrenza.
Il commerciale ideale per me è sincero, sintetico, fornisce le giuste informazioni e sa dialogare con il cliente perché capisce le sue esigenze e solo in quel contesto sa “vendere” il prodotto.
My five cents ;)

grazie per i primi feedback, ho notato che avete citato spesso la parola “prodotto”.. ma cosa succede se il prodotto non esiste? Se in realtà quello che si vende è un servizio (di produzione)?

comunque sono allineato con alcuni di voi, forse (io) sono ancora più radicale nel mio approcio.

ciao fullo,
in attesa di sentire lo speech all’agile day, alcune mie considerazioni sparse.

– se oggi dovessi riassumere in una parola quello che faccio quotidianamente (quindi un lavoro ed un percorso molto simile al tuo) direi: mediatore. sono sempre più convinto che la ricetta vincente sia quella che riesce a mediare tutto quanto accade all’interno della trattativa: più interlocutori da gestire (spesso con posizioni diverse), bisogni da tradurre in prodotti/servizi che portino veramente valore al cliente, insomma trovare la giusta tonalità di grigio tra i tanti bianco e nero che abbiamo intorno.

– conoscere bene (anche da tecnico) il prodotto/servizio che si vende, ovviamente aiuta, ma attenzione a non abusarne. se un commerciale scende troppo nel tecnico rischia di perdere di vista l’obiettivo che deve sempre avere in testa: trasformare i bisogni del cliente in azioni che producano valore.

– il cliente si deve fidare di te, prima che possa conoscere la struttura e quanto puoi fare per loro. è inevitabile e non bastano portfolio e anni di esperienza, bisogna saper parlare (e stare) con le persone: più cresce il livello del cliente (grandezza azienda, fatturato, etc.) più questo è a mio avviso decisivo.

– proporre e vendere solo quello che serve veramente, altrimenti è un cliente perso prima di diventarlo. e non importa se ti paga il tempo che lavori per lui, sarà comunque un contratto a (breve) termine.

ci vediamo a roma.

Una cosa è fondamentale: saper ascoltare.
Ogni commerciale tutte le mattine dovrebbe ricordare che Dio, qualunque cosa sia per voi, o la natura, se preferite, ci ha dato due orecchie ed una bocca per ascoltare il doppio e parlare la metà.
Ecco, io ho già parlato troppo …e non devo vendere nulla. :)

ciao fullo,
anche io vorrei partecipare all’agile day, ma sono in standby e, non sapendo se sarà possibile seguire l’evento in streaming, spero vivamente che mi accettino la richiesta di registrazione.

Scusate l’OT, vengo al dunque.
Ho sempre visto di cattivo occhio la figura dei commerciali, puri, proprio per le domande che poni alla fine del post. Tutti troppo orientati a vendere, e questo spesso fa mettere di traverso il cliente.
Sono daccordo con Steve quando parla di empatia tra account e cliente, credo sia fondamentale, bisogna sicuramente instaurare un approccio più del tipo “io ti fornisco una consulenza, non ti voglio vendere per forza di cose un prodotto/servizio” …

Non male come argomento, finalmente qualcuno lo porta a galla.
Se vuoi sentire un ennesimo parere (in ritardo putroppo) ti passo anche il mio.
Steve e Paolo parlano di due facce della stessa medaglia che condivido: creare un rapporto di dipendenza benigna con i tuoi clienti e portarli a considerare i tuoi servizi come una soluzione a quelli che io chiamo i “pain-points”.
Risolvere un problema é, comunque, solo il 50% del valore che porti in una vendita: saper valorizzare sia la post-vendita che il lavoro in atto crea ancora più ritorno per il cliente mettendolo in una “comfort zone” che persino il line-manager più intransigente non può non tenerne conto.
Io mi sono sempre prefisso delle azioni da eseguire con i clienti: azioni prima della vendita e azioni dopo la vendita; rendo il cliente partecipe dei miei obbiettivi e lo scrivo sui termini del contratto; il risultato è che entrambe le parti rimangono più flessibili sull’esecuzione e i progetti hanno più possibilità di riuscire e di evolvere dalla loro concezione iniziale a quello che il cliente veramente serve.
Mi manca la responsabilizzazione e le “storie” e lo puoi un poco paragonare alla tua visione Agile, io provengo da un’altra generazione e lo chiamo buon senso :-)
Il metodo non ti permette strategie di massa (Agile scala male nella mia limitata esperienza) ma la ritenzione del cliente è altissima e per una piccola azienda con personale di qualità (fattore, quest’ultimo, molto importante) può essere una strategia vincente.
Saluti!

Salve a tutti, sono da meno di due mesi un agente, non ho ne fisso, ne telefonino ne auto aziendale, per cui tutto a mie spese ed una minima provvigione del 10%.
Giusto oggi son venuta a sapere che un altro agente che non Sto arrivando! Nulla della parte tecnica vorrebbe lavorare nella mia zona (tecnicamente sono molto preparata) ed il distributore di zona mi ha prospettato la posibilita’ di lavorare in coppia. Io a dire il vero non sono daccordo, di sicuro vuole farmi le scarpe.
Voi cosa ne pensate? In caso insiste..dovrei mollare tutto?
Grazie x le risposte

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