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Fare il commerciale in periodo di crisi…

Ultimamente, come ho già scritto, ho ridotto il mio effort tecnico/tecnologico in azienda per spostarmi sempre di più sull’ambito manageriale ed, incidentalmente, commerciale. Come molti di voi sapranno la mia estrazione non è, propriamente, da agente di commercio e quindi in un modo o nell’altro ho studiato, cercato di capire il mercato e come porsi ad esso in maniera convincente o, almeno, più consona alla mia indole.

Mi sono fatto un’idea di com’è e di come vorrei che fosse, idea che per il momento non condividerò ma che cercherò di spiegare durante un talk all’AgileDay ed approfondire successivamente qui.

Prima di tale data mi piacerebbe però raccogliere qualche parere in più. Quindi vorrei sapere cos’è per voi un commerciale (dal generico a quello per una azienda che vive di web) e quale dovrebbe essere il suo tratto saliente (o quali dovrebbero essere se ne avesse più d’uno) e perché. Insomma per voi un buon commerciale dovrebbe avere compentenze tecniche? O essere un grande affabulatore? O limitarsi a vendere il più possibile?

Ciuaz

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La sottile arte della contrattazione ai tempi del web 2.0

Con la mia azienda le cose vanno abbastanza bene e per questo motivo, mio malgrado, ho dovuto ridurre drasticamente le mie ore da sviluppatore per dedicarmi ad attività un tempo da me considerate marginali (alla produzione di buon codice) ma ora indispensabili al fine favorire ed aiutare una sana crescita d’impresa.

Una di queste è la contrattazione delle modalità di fornitura dei servizi con i clienti, attività che porta via, proporzionalmente alla grandezza del cliente, tempo e sanità mentale. Se volete sapere quanto manca ad un mio possibile ricovero, considerate che ultimamente le trattative (se così possono essere definite) sono portate avanti con multinazionali che cubano quanto piccoli stati e che prima di dare una qualsiasi risposta (tipo: “bella giornata, eh?“) passano le domande al vaglio di un pool di avvocati…

Ogni tanto, durante un colloquio o uno scambio di email abbastanza acceso, mi arrivano frasi e concetti, espressi quasi come se rappresentassero La Verità Assoluta, a cui ci si aspetta una accettazione passiva.

A seguire, per mio e vostro diletto, alcune delle chicche che reputo come rappresentanti di un modo di lavorare vecchio e sorpassato.

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Zend Server e WordPress 3.x

Collaborando con Zend Italia, e con il buon Enrico, alla preparazione di un micro-benchmark su WordPress è emerso, tra le altre cose, che il CMS in questione non ama particolarmente il sistema di Page Cache dello Zend Server.

Questo avviene perchè il primo, non potendo comunicare al secondo la modifica di una pagina (ad esempio dovuta ad un commento), riceve dal sistema di caching sempre e solo lo stesso contenuto. Dopo un paio d’ore di studio delle API dello Zend Server e delle action di WordPress è emerso un simpatico snipplet che permette di usare direttamente il CMS in situazioni di grosso carico di lavoro senza doversi appoggiare a plugin di caching (come ad esempio il pur sempre ottimo W3 Total Cache) e lasciando quindi l’installazione di WordPress la più pulita possibile.

Qui di seguito il proof-of-concept (funzionante) del codice in questione.

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QR Code bookmarklet

fullo.netSe vi piacciono i QR Code, come quello che vedete qui a sinistra sappiate che google mette a disposizione un comodo tool per la generazione on-fly degli stessi.

Per comodità ho creato una piccola bookmarklet che invoca il servizio e genera automaticamente l’immagine.

Per usarla, copiate questo codice all’interno di un bookmark:
[code]javascript:window.open(‘http://chart.apis.google.com/chart?cht=qr&chs=150×150&choe=UTF-8&chld=H&chl=’+document.location);void(0);[/code]

o, più semplicemente, trascinate questa QR Code Bookmarklet sulla vostra barra degli indirizzi.

ciuaz

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di tutto un po' lifehack pensieri

Do ut des

Non so se sarà il trend del 2011 ma nelle ultime settimane mi è capitato che più di un nuovo cliente mi abbia chiesto, per essere abilitato come fornitore, una combinazione lineare di Stato Patrimoniale dell’azienda e/o dei soci, Visura Camerale, DURC e Libro Unico dei lavoratori. A parte possibili violazioni della privacy (sul Libro Unico sono presenti dati riservati), interrogati i neo-clienti sulle motivazioni di queste richieste ho ricevuto risposte vaghe e poco esaurienti.

C’è chi lo fa perchè vuole evitare di dare lavoro ad aziende che fanno lavoro in nero, e fin qua sono in totale accordo, c’è chi lo fa per prassi (e non ricorda quando ha iniziato) e c’è chi lo fa per avere controllo su chi farà materialmente il lavoro (ma la mia interpretazione, plausibile, è di poter poi contestare il lavoro attaccandosi a qualche cavillo per ridurre la spesa finale).

Resta il fatto che il termine più (ab)usato è “per la trasparenza dei fornitori“. Ecco, anche a me piace la trasparenza, pertanto ai prossimi clienti che vorranno fatto un lavoro, ma chiederanno scartoffie su scartoffie, potrei iniziare a chiedere in contropartita la Visura Camerale, lo Stato Patrimoniale e lo stato dei ritardi dei pagamenti verso i fornitori.

Vuoi mai che tutta questa chiarezza non snellisca le pratiche per iniziare a fare il vero lavoro?

ciuaz

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Flussi e riflussi: la QA(gile) dei processi di sviluppo

Quality assurance, or QA for short, refers to a program for the systematic monitoring and evaluation of the various aspects of a project, service, or facility to ensure that standards of quality are being met.

fonte wikipedia

Sarà che sono sempre stato abbastanza sensibile all’argomento (vedi anche il mio ultimo talk al phpDay 2010) e che ho sempre pensato al mio lavoro su criteri molto simili a quelle citati nel craftsmanship manifesto, ma ultimamente (diciamo nell’ultimo anno) mi pare che sempre più persone (e personaggi) che vivono nell’enorme calderone del mondo agile/xp/dialetti-vari parlino di QA.

Il problema è che, imho, ognuno riporta la QA al proprio mondo dimenticandosi di tutte le altre sfaccettature e che spesso QA nel mondo agile venga intesa in termini di code coverage.

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100Km con le MBT ai piedi…

Come molti di voi sapranno, seguendomi su FriendFeed o su Twitter, qualche mese fa ho comprato un paio di MBT, per la precisione le Tembea White Cap, per provare a alleviare il continuo dolore al ginocchio che mi perseguita da qualche anno.

Le scarpe, che premetto non sono da trekking ma per terreni urbani, sono state testate decisamente a fondo avendomi seguito nel viaggio di nozze in Giappone. Quello che seguirà sarà quindi una piccola recensione, nata da esperienza diretta, utile (spero) a tutti i futuri acquirenti di MBT.

Prima di lasciarvi alla recensione ricordo a tutti che: non sono uno scarparo ma un informatico, pertanto non aspettatevi termini tecnici su questo o quel pezzo della scarpa, non sono pagato da MBT per questa recensione né ho ricevuto da quest’ultima scarpe da provare. Se non vi piacciono i miei criteri di valutazione… cavoli vostri.

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di tutto un po' eventi lifehack

Grazie a tutti!

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Grazie a tutti i partecipanti!

Un grazie di cuore agli amici e ai parenti (e perchè no, anche agli imbucati) per aver reso un giorno speciale ancora più speciale. Un grazie ai nostri genitori, a quelli che hanno ballato ed a quelli che sono fuggiti dalla sala, che ci hanno sostenuto in tutto dalla preparazione delle bomboniere fino agli addobbi degli autobus per il parentame.

Grazie a chi si è macinato km e km in auto con figli appena sfornati, o comunque al primo viaggio impegnativo, e grazie ai suddetti figli per la pazienza dimostrata rimanendo buoni e sorridenti durante tutta la serata.

Grazie ai testimoni, ed all’orrido segreto ahi-noi svelato.. A chi si è fatto viaggi in solitaria in notturna e a chi ha fatto un tour de force in moto. Grazie a chi ha avuto il coraggio di buttare la sposa in piscina completamente vestita, e grazie a chi ha avuto il coraggio di buttarsi in piscina per controllare che la sposa non annegasse. E grazie a chi ha organizzato gli scherzi e giochi decisamente nerd e coinvolgenti!

E grazie alla 500 che nonostante tutto ci ha portani sani e salvi da Jesi all’agriturismo.

Ci sentiremo al rientro dal viaggio di nozze in Giappone, intanto godetevi le foto su flickr!

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Il problema del refactoring

Dare una stima dei costi per il refactoring di un progetto, senza prima averlo analizzato sarebbe come cercare di curare una malattia senza investire tempo e denaro in analisi mediche.

Fullo, mail a cliente anonimo

Sempre più spesso in Ideato ci arrivano richieste per riprogettare, rifattorizzare ed ottimizzare software già in produzione. Ovviamente chi chiede informazioni sui costi si ferma ad un misero «ma quanto mi costa?» senza però ascoltare le due/tre cose che sappiamo sull’argomento (mica ci abbiamo scritto un libro sul refactoring per hobby, no?).

Uno degli ultimi casi che mi è capitato riguarda la riprogettazione (a tutti i livelli, dall’UX alla sistemistica) di un portale da fare in partnership con altre aziende con cui stiamo lavorando già da tempo. Solo la fase di preventivazione di massima è costata a tutti parecchio tempo perchè, come al solito, non c’erano idee chiare da parte del cliente che è stato accompagnato mano nella mano in tutta l’attività.

Il quale, però, è ovviamente caduto dal pero vedendo che nel preventivo di analisi mancava la stima dei costi per il refactoring.

Ecco quindi spiegata la metafora che introduce questo post.

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di tutto un po' pensieri

8×1000

Come ogni anno ripropongo la mia personale campagna di sensibilizzazione all’8×1000, quest’anno con il video realizzato da DonZauker.

ciuaz