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(s)Conferenze di settore

Ultimamente mi è giunto l’invito su facebook ad una conferenza di settore che punta a far incontrare una delle tante figure professionali necessarie a produrre prodotti-(applicazioni, portali, siti, etc) per il web per decidere insieme il futuro del Web Italiano.

Il piano d’azione dell’evento è semplice, riunirsi, studiare insieme come fare una lobby, applicarne le regolette. Magari sensibilizzando il pubblico grazie ad una nazionale di calcio.

Una cosa però non mi è chiara.

Se i web designer hanno il grave compito di decidere le sorti del web italiano, allora tutte le figure professionali su cui queste persone dovrebbero basare il proprio lavoro (analisti, esperti di ux, architetti dell’informazione, etc), da cui il lavoro deve poi evolvere in qualcosa di concreto (copy, frontend developers, sistemisti, server side developers, etc) e con cui devono colloquiare (project managers, account, etc) che ci stanno a fare?

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Inception

Ovvero, come evitare di svenarsi con anni di psicanalisi uccidendo tutti quelli che ti passano per la mente. Letteralmente.

ciuaz

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di tutto un po' lifehack pensieri

Do ut des

Non so se sarà il trend del 2011 ma nelle ultime settimane mi è capitato che più di un nuovo cliente mi abbia chiesto, per essere abilitato come fornitore, una combinazione lineare di Stato Patrimoniale dell’azienda e/o dei soci, Visura Camerale, DURC e Libro Unico dei lavoratori. A parte possibili violazioni della privacy (sul Libro Unico sono presenti dati riservati), interrogati i neo-clienti sulle motivazioni di queste richieste ho ricevuto risposte vaghe e poco esaurienti.

C’è chi lo fa perchè vuole evitare di dare lavoro ad aziende che fanno lavoro in nero, e fin qua sono in totale accordo, c’è chi lo fa per prassi (e non ricorda quando ha iniziato) e c’è chi lo fa per avere controllo su chi farà materialmente il lavoro (ma la mia interpretazione, plausibile, è di poter poi contestare il lavoro attaccandosi a qualche cavillo per ridurre la spesa finale).

Resta il fatto che il termine più (ab)usato è “per la trasparenza dei fornitori“. Ecco, anche a me piace la trasparenza, pertanto ai prossimi clienti che vorranno fatto un lavoro, ma chiederanno scartoffie su scartoffie, potrei iniziare a chiedere in contropartita la Visura Camerale, lo Stato Patrimoniale e lo stato dei ritardi dei pagamenti verso i fornitori.

Vuoi mai che tutta questa chiarezza non snellisca le pratiche per iniziare a fare il vero lavoro?

ciuaz

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cazzate pensieri

E se passa la legge bavaglio? Nuovo disclaimer per il blog

Se fino a qualche tempo fa bisognava specificare che un blog non è periodico e quindi non paragonabile a prodotto editoriale, a breve se veramente verrà introdotta la legge bavaglio, detta anche “Ddl Intercettazioni”, bisognerà correggere ulteriormente il proprio disclaimer.

Io pensavo ad uno fatto più o meno così: “Questo blog è frutto dell’ingegno e della fantasia del suo autore, ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone e marchi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale. Ritenete tutto il testo scritto automaticamente smentito.

dite che può andare bene?

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lifehack pensieri

Flussi e riflussi: la QA(gile) dei processi di sviluppo

Quality assurance, or QA for short, refers to a program for the systematic monitoring and evaluation of the various aspects of a project, service, or facility to ensure that standards of quality are being met.

fonte wikipedia

Sarà che sono sempre stato abbastanza sensibile all’argomento (vedi anche il mio ultimo talk al phpDay 2010) e che ho sempre pensato al mio lavoro su criteri molto simili a quelle citati nel craftsmanship manifesto, ma ultimamente (diciamo nell’ultimo anno) mi pare che sempre più persone (e personaggi) che vivono nell’enorme calderone del mondo agile/xp/dialetti-vari parlino di QA.

Il problema è che, imho, ognuno riporta la QA al proprio mondo dimenticandosi di tutte le altre sfaccettature e che spesso QA nel mondo agile venga intesa in termini di code coverage.

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Il problema del refactoring

Dare una stima dei costi per il refactoring di un progetto, senza prima averlo analizzato sarebbe come cercare di curare una malattia senza investire tempo e denaro in analisi mediche.

Fullo, mail a cliente anonimo

Sempre più spesso in Ideato ci arrivano richieste per riprogettare, rifattorizzare ed ottimizzare software già in produzione. Ovviamente chi chiede informazioni sui costi si ferma ad un misero «ma quanto mi costa?» senza però ascoltare le due/tre cose che sappiamo sull’argomento (mica ci abbiamo scritto un libro sul refactoring per hobby, no?).

Uno degli ultimi casi che mi è capitato riguarda la riprogettazione (a tutti i livelli, dall’UX alla sistemistica) di un portale da fare in partnership con altre aziende con cui stiamo lavorando già da tempo. Solo la fase di preventivazione di massima è costata a tutti parecchio tempo perchè, come al solito, non c’erano idee chiare da parte del cliente che è stato accompagnato mano nella mano in tutta l’attività.

Il quale, però, è ovviamente caduto dal pero vedendo che nel preventivo di analisi mancava la stima dei costi per il refactoring.

Ecco quindi spiegata la metafora che introduce questo post.

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SDD: Stage Driven Development

Si definisce Stage Driven Development, o SDD, quel processo di sviluppo, tipicamente estivo e delle PMI italiane, che usa stagisti, normalmente senza competenze ed esperienze sul campo, per creare software business critical che poi dovrà essere rifattorizzato, o nel peggiore dei casi riscritto sottocosto, «che abbiamo già investito ed il budget è poco», da fornitori terzi.

Giusto per riagganciarmi a quanto detto da Luca sull’argomento stage.

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di tutto un po' pensieri

8×1000

Come ogni anno ripropongo la mia personale campagna di sensibilizzazione all’8×1000, quest’anno con il video realizzato da DonZauker.

ciuaz

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L’azienda che vorrei

  • L’azienda che vorrei dovrebbe mettere le persone davanti a tutto, renderle partecipi di come l’azienda sta andando e perchè.
  • L’azienda che vorrei dovrebbe perseguire il profitto, non solo quello economico, ma anche sociale ed intellettuale.
  • L’azienda che vorrei dovrebbe permettere ed invogliare la crescita personale, dando a chi lo vuole la possibilità di fare nuove esperienze, anche collaterali al lavoro svolto in ufficio.
  • L’azienda che vorrei dovrebbe far si che i dipendenti abbiano assistenza e rimborsi per le spese mediche, perchè la loro salute è anche salute dell’azienda.
  • L’azienda che vorrei dovrebbe dare spazio alle persone di dire la propria, proporre idee ed avere un piccolo budget per portarle avanti.
  • L’azienda che vorrei dovrebbe fare della propria forza la traparenza e la consapevolezza che il cliente fa parte del team di sviluppo.
  • L’azienda che vorrei dovrebbe rendere gli straordinari un evento straordinario, e non una consuetudine.
  • L’azienda che vorrei dovrebbe avere dipendenti che affermano che farsi oltre 40km per andare in ufficio tutte le mattine non pesano affatto.

Fortunatamente questa azienda la ho.

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Kaizen, Kata, Bunkai e BarCamp?

Non sono mai stato un esperto di arti marziali, quello che però mi ha sempre affascinato di queste discipline è la necessità di viverle come uno strumento necessario al continuo miglioramento.

Un miglioramento necessario, negli anime a combattere il nemico più forte (la cosiddetta sindrome da DragonBall), ad affrontare i nuovi ostacoli che ci si pongono davanti con rinnovato vigore, non solo fisico ma soprattutto, psicologico.