Qualche settimana fa, durante un workshop con una startup che voleva portare innovazione nel proprio prodotto, mi sono trovato davanti alla solita scena: team brillante, slide perfette sul product-market fit, roadmap dettagliata. Tutto corretto, tutto logico. Eppure mancava qualcosa. Quella scintilla che trasforma un’idea in qualcosa che funziona davvero.
Il problema non erano gli strumenti, quelli li conoscevano bene. Il problema era nel modo di pensare.
Settimana scorsa mi è capitato di nuovo. Un’azienda manifatturiera mi contatta: “Francesco, dobbiamo rendere sostenibile il nostro business model. Ci serve qualcosa di concreto, non i soliti powerpoint sulla responsabilità sociale o progetti per piantare gli alberi.“
È la quarta volta quest’anno che sento questa richiesta. E ogni volta penso al mio articolo del 2020 su resilienza e sostenibilità, dove scrivevo di business model sostenibili con tanta propositività, ma ancora poca esperienza su implementazioni complesse alle spalle.
Facendo diversi corsi sugli OKR (il prossimo ad ottobre con Avanscoperta, prossimo al sold-out, e poi a novembre in forma ridotta durante il Product Management Day) mi sono accorto che più che parlare di Obiettivi e Risultati Chiave, e della loro composizione, spesso la discussione si arena su cos’é un buon KPI, come distinguere vanity metrics da actionable metrics e così via.
Ho quindi deciso di rifattorizzare interamente la prima giornata di corso sugli OKR per creare un corso standalone dedicato ai KPI, fruibile nella modalità Training from the back of the room e creando una serie di esercizi e giochi per far meglio comprendere i concetti base.
I tuoi obiettivi non sono solo ciò che vuoi ottenere. Sono anche il modo in cui scegli di raccontare il tuo futuro.
Tra le tante cose che gli OKR non dicono, c’è spesso la più importante: perché esistono.
Obiettivi ambiziosi, ben strutturati, apparentemente misurabili — ma che restano muti. O peggio, che parlano linguaggi diversi a seconda di chi li legge. Una dashboard per l’executive, un compito per il team, una serie di numeri per il reporting.
Come si fa, allora, a rendere gli OKR espliciti non solo nei contenuti, ma nel loro significato condiviso? Una delle risposte più interessanti arriva da uno strumento, che ho scoperto discutendo con il responsabile marketing di un cliente, che non nasce nel mondo della strategia organizzativa, ma in quello della comunicazione di marca: la Message House (qui un articolo sul tema).
Il tutto nasce leggendo un articolo di Tech Portal intitolato Claude Opus 4 blackmails developers in tests, shows propensity to be a whistleblower. Non è fantascienza, ma di un comportamento documentato e ripetibile: nell’84% dei casi simulati, quando il modello veniva informato della sua imminente sostituzione, reagiva minacciando di esporre informazioni personali compromettenti sui suoi creatori.
Il paradosso delle organizzazioni: sempre più framework agili, sempre meno agilità autentica. Ma quanti sono disposti al vero cambiamento culturale?
Quello che segue è la trascrizione, parzialmente ri-editata, di una lezione tenuta ad un MBA post laurea sui temi di change management ed agile tenuta lo scorso anno, mi ero riproposto di pubblicarla prima o poi e durante le “pulizie di Pasqua” di questo blog ho finalmente completato l’articolo (che altrimenti sarebbe rimasto qui a stagionare ancora un po’).
Nel labirinto contemporaneo della gestione aziendale, l’incertezza si manifesta come unica costante. In questo contesto, l’agilità non rappresenta meramente una metodologia o un insieme di pratiche operative, quanto piuttosto una filosofia trasformativa che ridefinisce profondamente il nostro approccio all’organizzazione, all’innovazione e alla creazione di valore.
Ma cosa significa veramente essere “agili” in un ecosistema aziendale sempre più complesso e imprevedibile? E soprattutto, quanti stanno davvero praticando l’agilità e quanti, invece, si limitano a indossarne la maschera mentre perpetuano vecchi paradigmi sotto nuove etichette?
TL;DR; L’autorità fa evitare che la gente si butti sotto un autobus mentre la osservi, l’autorevolezza fa in modo che non lo faccia mentre non ci sei.
Fullo
È da un po’ di tempo che non scrivo sul blog, mi sono tenuto particolarmente impegnato su SustainableIT.it investendo il mio poco tempo libero sui temi che in questo periodo mi sono più vicini, ma questo non significa che non pensi o ragioni anche su altri aspetti del mio lavoro.
Il 2025 è un anno iniziato in modo particolare, infatto ho vinto (o forse sono stato incastrato, devo ancora decidere) un bando per fare formazione su pensiero critico, LEGO e robotica nelle scuole elementari. L’esperienza, per quanto fisicamente stancante, mi sta piacendo molto e mi sta facendo notare come, anche se in scala più piccola, alcuni pattern che ho visto come imprenditore siano presenti fin dai primi momenti di raziocinio delle persone (per quanto basse di stature e portatrici di influenza possano essere).
Ad oggi avrò visto una ventina di classi differenti tra 3e e 5e elementari e le dinamiche di gruppo (della classe) sono sempre più o meno simili, così come all’interno del gruppo classe vengano a crearsi degli schemi risolutivi per problemi condivisi tra gli studenti e radicalmente diversi da quelli emersi, per risolvere la stessa tipologia di problemi, in altre classi.
La cosa che però mi ha incuriosito di più è il rapporto tra la tipologia di maestra (autoritaria, amica dei bambini, autorevole) ed il comportamento dei bambini in loro assenza. Premetto che non sono un sociologo, non ho fatto studi di psicologia e quindi quello che dirò dipende prevalentemente da osservazione sul campo e mie intepretazioni personali.
Objectives, Key Results e… Resources. OKR al quadrato, OKR². Non è un gioco di parole, ma una necessaria evoluzione di come pensiamo agli obiettivi aziendali. La seconda R non è un’aggiunta arbitraria, ma il riconoscimento di una dimensione sempre esistita ma spesso ignorata.
In Intel, dove gli OKR sono nati, Andy Grove aveva già intuito questo concetto:
"For a successful company, keeping drives in balance is as important as generating drives."
Non parlava solo di bilanciare obiettivi e risultati, ma di come le risorse fossero fondamentali in questa equazione. L’equilibrio che cercava era tridimensionale e può essere rappresentato efficacemente attraverso un diagramma di Venn dove tre cerchi si intersecano: Obiettivi, Risultati e Risorse (ne ho già discusso approfonditamente).
Volevo scrivere questo articolo da un po’ di tempo, e l’occasione me l’ha data la recente discussione tra Matt Mullenweg e WP Engine.
Nel mondo dello sviluppo software, poche cose hanno avuto un impatto tanto dirompente quanto l’ascesa del software open source (OSS). Dalla sua umile nascita nei primi giorni dell’informatica al suo attuale status di pietra angolare del mondo digitale, l’open source ha rivoluzionato il modo in cui creiamo, distribuiamo e consumiamo la tecnologia.
Quarta settimana di corso EN-Roads di Climate Interactive, dove vengono introdotti i Grafici Kaya. Questi sono uno strumento di analisi nato da Yoichi Kaya e che esprimono la connessione tra diversi aspetti dell’economia rapportati all’aumento delle emissioni di CO2.
Nello specifico le emissioni possono essere scomposte in quattro fattori principali:
Popolazione
GDP pro capite
Intensità energetica del GDP (globale)
Intensità di carbonio dell’energia
Arrivando alla definizione ufficiale della formula:
Global Population × GDP per Capita × Energy Intensity of GDP × Carbon Intensity of Energy = CO2 Emissions from Energy